mercoledì 22 ottobre 2025

ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO : 27

 (31.01.2009)

A metà degli anni settanta, in una stagione di benessere economico generale, capitò a mio padre di conoscere la prima violinista del Teatro dell'Opera di Roma e di entrare con lei e la sua famiglia in amicizia. Questo ci diede la possibilità di ottenere una corsia preferenziale per uno dei rari ed ambitissimi posti di abbonamento alle prime poltrone della platea, cosa che notoriamente si tramanda in via generazionale e sono quindi estremamente difficili da trovare. Anche allora la cifra da pagare non era indifferente, nulla comunque in confronto ai prezzi odierni, del tutto inavvicinabili. Cominciai così, tutti i sabati pomeriggio, ad assistere alle rappresentazioni degli spettacoli in cartellone, entrando in un mondo sfavillante ed in un atmosfera ottocentesca; all'ingresso si potevano acquistare i programmi ed i libretti gialli editi dalla leggendaria Casa Ricordi con tutte le battute delle opere, ed era consuetudine seguirli con minuscole pilette semi celati dagli schienali delle poltrone. La Ricordi allora aveva vari negozi in città, a viale Giulio Cesare, a viale delle Milizie e alla stazione, che poi furono venduti a Maraldi e anni dopo acquisiti definitivamente dalla editrice Feltrinelli, che snaturò completamente il fasto antico e demodé dei negozi rendendoli certo moderni ma molto meno umani. Di solito prima della rappresentazione mi recavo a perder tempo nel foyer per concedermi un caffè guardando il bel mondo tirato a lucido per l'occasione, non che fossi da meno, con i miei completi scuri e le cravatte per le quali fin d'allora coltivai una sorta di mania feticistica, arrivando a possederne circa duecento di tutte le fogge, dalle più classiche regimental alle più ridanciane con Paperino o Brontolo, ottime per tenere alto il morale quando lavorai nei call center..Tre squilli annunciavano l'inizio della rappresentazione ed io attraversavo i tendaggi pesanti che dividevano il foyer dalla platea seguendo le mascherine fino alla mia poltrona in terza fila, un posto di corridoio centrale spettacolare per acustica e visibilità. Mi recavo a salutare la violinista nel golfo mistico scambiando con lei alcune facezie sui cantanti del momento poi mi predisponevo attento all'ascolto. Si faceva buio e l'orchestra attaccava i preludi, fino all'apertura del sipario, il momento magico che chiamavamo "l'alito del drago" perché l'atmosfera immobile e pesante della sala veniva improvvisamente scossa dallo spostarsi dell'aria e dal suo fruscìo: quanti allestimenti spettacolari, classicissimi, grandiosi, ho visto da allora. I direttori più celebrati, i cantanti migliori, le regie più attente alla tradizione! Vidi in quegli anni centinaia di opere, tutte le italiane godendomi le bizzarrie di Rossini, i toni crepuscolari del Puccini, la maestosità del Verdi e gli immortali capolavori di Wagner tra i quali la tetralogia dell'Oro del Reno anticipava i toni epici che ritrovai anni dopo nella lettura del Signore degli Anelli. Grazie alla cortesia della mia amica mi capitava a volte di intrufolarmi dietro le quinte e una sera ebbi la ventura di conoscere Montserrat Caballè, persona di grande dolcezza e amabilità che ritrovai, così tanti anni dopo, ad un recital al Teatro Ghione; quando passai da lei in camerino - incredibilmente - si ricordò di me e potemmo intavolare una breve discussione sullo stato generale del Teatro dell'Opera al tempo. Di quegli anni restano scolpite nella memoria le favolose scene di certe Aida, di certe Turandot e persino La Fanciulla del West con i cowboy a cavallo a rincorrersi realmente in una foresta perfettamente ricostruita. E che dire poi delle bizzarre sperimentazioni dei primi anni ottanta, quando la politica con le sue proteste già avvelenava sottilmente quel mondo ancorato alla sua peculiare antichità, sfornando assurdità del tipo "Aiuto, aiuto, arrivano i globolinks!", sorta di opera fantascientifica con alieni che scendevano tra il pubblico lasciando i melomani esterrefatti... Potente, infine, e sempre vivo è il ricordo dell'ultima apparizione sulle scene di Nureyev, con Il lago dei cigni, che vidi a Caracalla insieme a mia madre; all'ingresso dei diavoli travestiti da turisti giapponesi mi sventolarono sotto il naso un rotolo di biglietti da centomila per avere il biglietto e ammetto che fui lì lì per cedere alla vile pecunia ma tirai dritto, i posti erano esauriti da mesi, e mai me ne pentii. Nureyev poco tempo dopo ci lasciò segnando una ferita insanabile nel mondo dell'Opera e con amore malcelato conservo in un cassetto del cuore quei frammenti visivi dei suoi omaggi a Diaghilev e a Nijinsky...



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