lunedì 20 ottobre 2025

ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO : 6

 (07.10.2008)

A volte, quando il sole è forte e nell'aria volano antichi profumi d'erba, mi sembra di cogliere vaghe reminescenze di un infanzia colata dalle mie dita come sabbia. Scendevamo le antiche scale tutti incolonnati, con i nostri cestini di plastica intrecciata a mo' di panierini, rosa, celesti, e le nostre modeste merende vi ballavano dentro; il suono della campanella ancora echeggiava tra le aule e quei banchi neri di legno graffiato sì, ma poco, con timore. Scendevamo e i Padri ci accompagnavano nel cortile che confinava con una enorme distesa d'erba, una vallata a conca la cui collina al bordo estremo ci sembrava talmente lontana che mai avremmo potuto raggiungerla. Ci sedevamo così, cercando di non sporcarci i grembiuli, nel verde, riempiendoci i polmoni dell'aroma dei fiori, e gli occhi delle nuvole bianche a ciuffi, che placide come giovenche in alto restavano immobili. Minimi giochi, quiete rincorse, vociare sommesso e confuso  perso nello stormire delle foglie degli alberi, e le cicale, assordanti, mai sazie del loro cicalare...Masticavo a lungo, facendo durare il panino col burro e i pezzetti di cioccolata (rara delizia dal gusto ineffabile) il cui profumo si mescolava ad un quid che a lungo ricercai, per rendermi conto - e solo ad un età tale da rischiare davvero di non ricordarlo più - che si trattava delle grandi siepi di gelsomino in fiore che nascondevano la rete del limite del cortile...Padre Tolmino lasciava che giocassimo con un grosso pallone pesante di cuoio, io guardavo i compagni correre e un po', nella mia ritrosa timidezza, li invidiavo cercando scuse per non partecipare, riandando con la mente ai compiti appena fatti, ai dettati riportati fedelmente, in bel corsivo, sui cari quaderni con la copertina nera e il bordo rosso che mio padre a fatica mi comprava facendomi promettere di non sprecarne le pagine. E l'attesa della campanella si sommava all'ansia per le interrogazioni di là da venire, per le quali mai mi sentivo preparato, anche se poi - in fondo - lo ero. Squillava infine, e tornavamo mogi su per le scale antiche, con gli occhi pieni di sole, passando davanti la cappella e segnandoci, in professione di fede. Aromi di un tempo svanito, panorami devastati dall'edilizia, cieli mai più così tersi e limpidi. Le cicale ci sono ancora, laggiù, nei campi da tennis che han preso il posto del boschetto, e cantano ancora, senza memoria, senza un passato, beate.



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