mercoledì 22 ottobre 2025

ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO : 26

 (26.01.2009)

Fine anni 60, le gioiose e lunghissime vacanze estive  ci tenevano col fiato sospeso già molto tempo prima della fine della scuola. Mio padre prendeva in affitto per tre mesi un appartamento ad Ostia, il mare di Roma, vicino alle zie che ne possedevano uno, poi restava in città a lavorare sui cantieri con mio nonno. Io, mia madre e mio fratello piccolo ci stabilivamo là, prendevamo il posto e la cabina allo stabilimento Marechiaro e ci dedicavamo a dimenticare l'anno trascorso sbizzarrendoci sul lungospiaggia. Nettissime ancora, a distanza di quasi quarant'anni, le memorie di quei giorni, il caldo impressionante dell'estate che perdurava continuo giorno e notte, l'odore denso degli olii abbronzanti che stagnava nell'aria, il frusciare sommesso delle onde interrotto dalle canzoncine dei jukebox - quelle favolose canzoni pop ancora così simpatiche da ascoltare. Ci portavamo di tutto nella cabina, panni, vestiti, thermos con il pranzo e non vedevamo l'ora di gettarci in acqua, quel mare limpido dove tra le gambe ci sgusciavano minuscoli pesciolini argentati. Piazzati sull'arenile, sotto lo sguardo vigile di mamma e delle zie, organizzavamo castelli intricati, tunnel dove far correre le palline trasparenti con le figurine dei calciatori all'interno, ci seppellivamo nella sabbia lasciando testa e piedi fuori al sole su cuscinetti improvvisati. Era uno spasso il tornare, al pomeriggio, passando davanti alle bancarelle dei libri usati dove facevo incetta di giornalini di Cino e Franco, del Vittorioso, di Mandrake e dell'Uomo Mascherato per poi leggerceli sul divano un po' ammuffito che troneggiava nel salotto-camera da pranzo. Ma quello che ci affascinava veramente era, quando la mattina presto, col fresco, ci recavamo allo stabilimento, andare a prendere i bomboloni caldi di cui subito incoscientemente e voracemente facevamo scorpacciate. C'era, e a dirla tutta ancora c'è, una pasticceria dal lucido bancone sovrastato da una bizzarra canalina metallica: ogni quarto d'ora si sentiva uno scampanìo, si apriva una porticina in alto nel muro ed un grosso bimotore arrivava con le eliche ronzanti, fino a fermarsi vicino alla cassa, si apriva il portellone e ne pioveva giù un nugolo di bomboloni alla crema e al cioccolato. Che gioia starsene lì col naso alzato, in attesa, quelle meravigliose attese che solo i bambini conoscono, quelle attese di qualcosa che a volte è fantastica solo per l'anima piccina che l'attende e mai la disattende. Ce ne facevamo dare una busta e forse solo la metà arrivava intera sulla spiaggia. Ogni giorno si incontravano bambini nuovi con i quali parlare dei rari giocattoli ricevuti, mostrare orgogliosamente le pistoline a spruzzo, le biglie - quante! - certosinamente custodite in sacchetti di rete blu, e poi tutti in acqua a far cagnara, imparando da soli i rudimenti del nuoto, lasciandosi cullare a galla fino a che sulla testa solo le rosse nuvole del tramonto scorrevano leggere. Ricordo una mattina prestissimo, papà era venuto la sera prima e ci aveva svegliato per andare ad accendere il televisore, un cassettone in bianco e nero come era in voga all'epoca; ci trascinammo davanti allo schermo ed ecco lì la sorpresa! Davvero, ma davvero qualcuno stava mettendo il primo piede umano sulla Luna? Che cosa incredibile, mi tornavano in mente gli antichi libri di Giulio Verne che avevo letto a casa e mi sembrava che nulla potesse rappresentare il futuro più di quelle immagini silenziose. Anni di sogni, quando qualsiasi cosa sembrava il massimo, un bombolone dorato, il ciclone che si portò via gli ombrelloni, un uomo sulla Luna, Fidenco che cantava dai jukebox o forse, ma sì, mio padre che per un giorno si svegliava insieme a noi e tutti insieme, con i nostri pantaloncini da spiaggia col timoncino ricamato in bianco e i secchielli e le palette, a vivere come ogni famiglia dovrebbe poter ricordare di aver vissuto.




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