lunedì 20 ottobre 2025

ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO : 14

 (31.10.2008)

A metà degli anni settanta, facevo lo sbarazzino in sella ad una Vespa 50 special rosso fuoco, quella col faro quadrato, che adesso va tanto di moda tra i collezionisti, e andavo a tutta birra per la città consumando le suole delle scarpe in curve da brivido rette solo col piede in fuori a lasciare il nero: ma sentivo ovviamente il richiamo di quel qualcosa in più che mi avrebbe consentito una maggiore libertà di movimento e sopra tutto l'andare in due con la ragazza di turno. Perciò mi misi di punta a romper l'anima a quel brav'uomo di mio padre che alla fine, fattisi i conti in tasca e visto anche quanto disponevo del mio, si presentò un giorno con una meravigliosa Gilera 98 regolarità grigia metallizzata, che aveva trovata usata da un negoziante di Porta Castello, il cui aiutante, un certo Peppinello, godeva fama di gran trescatore ed era dunque riuscito  spuntarla ad un prezzo ancora accessibile alle nostre devastate tasche. Ovviamente mi precipitai subito a customizzarla, cambiando il manubrio con uno a corna di bue, mettendo una marmitta Silentium che rombava come una Harley, mettendo il famoso "gas rapido" della Tommaselli, il porta targa in caucciù da cross, la sella ribassata da corsa. Ne venne fuori un ibrido da combattimeno sul quale vissi anni fantastici, addirittura scalando senza sella e in prima l'enorme scalea Vezio Mezzetti, quella altissima che porta all'hotel Hilton, con sotto tutta la banda a applaudire: Ebbi la bella idea di montarci il tubolare para gambe cromato e un giorno mi salvò la pelle, quando mi arrivò addosso sparata una berlina da dietro una curva, aveva invaso la mia corsia e piegò completamente il para gambe ma me la scampai senza graffi. Avevo per la mia moto una specie di affiatamento extrasensoriale, ci capivamo al volo, ci salivo e sapevo che quel giorno mi sarei ammazzato perciò scendevo e andavo a piedi o in macchina.  Girarci era una gioia, era frenesia, era la vera libertà: libertà di portarci la ragazza, persino - ma sì! - di farci l'amore sopra, libertà di sentire il vento in faccia (il casco non era così obbligatorio, anche se mi ero fatto un bel Nava integrale nero). Poi un giorno, a piazza Pio XI, arrivai ai semaforo rosso e mi affiancai ad un altro biker, ci guardammo e cominciammo a sgassare.. scattò il verde e partimmo  accoppiati e su una ruota sola...a parte il fatto che da sinistra, passando tranquillamente con il rosso, mi arrivò addosso una Mercedes che trascinò via la moto per cinquanta metri e mi fece imparare a volare. Atterrai sulla schiena e l'ultima cosa che vidi furono le ruote delle auto che passavano a dieci centimetri dalla mia faccia.  La moto non si fece nulla, era una vecchia bastarda tutta d'acciaio, si piegò soltanto il pedale poggia piede sinistro e si ruppe la luce posteriore; io ci guadagnai un trauma cranico e il giaccone in cuoio da motociclista di mio padre (lui da giovane girava col Saturno 500...) grattato qua e là. Per parecchio tempo restammo entrambi a riposarci in garage, motociclisticamente parlando, salvo riprendere la fiducia e le scorribande tempo dopo. Quest'anno, come ricorda chi lesse i miei post di qualche mese fa, l'ho dovuta lasciare definitivamente, ed è a lei che dedico il mio ricordo con questa che è l'unica foto che ne conservo, trent'anni e venti chili fa. Non eravamo male, vero?



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