mercoledì 22 ottobre 2025

ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO : 24

 (06.01.2009)

Iniziarono bene, in fondo, le nostre minuscole vacanze. Un padre e un figlio, bagagli nel cofano, pronti ad un inarrestabile voglia di stare insieme e divertirsi per quei pochi giorni permessi dai turni lavorativi. Un bel viaggio lungo fino a Cesena per portare il cucciolo a far cagnara a Mirabilandia, ristoranti per farlo strabiliare davanti a portate inconsuete, giocattolini ad ogni richiesta perché in fondo io posso sempre andare con le toppe ai pantaloni e le scarpe slabbrate ma lui ha il diritto ad essere felice. E poi un tranquillo fine settimana a Montepulciano, a fargli conoscere un vecchio amico ristoratore prodigo nel riempirci piatti e stomaci di pici in tutte le salse, i musei, i favolosi panorami della vecchia, cara Toscana. Ore liete, a trascinarci qua e là, nella placida indolenza di chi è intimamente soddisfatto delle poche cose che la vita concede, pago del vederlo ruzzare senza pensieri per le viuzze e nei negozi. E per finire la serata perché non portarlo al parco centrale di Montepulciano, tra chioschi, fiere paesane, stand, giardini, alberi, cespugli e quanto altro? Già, perché? Ed eccoci là, io seduto in panchina a fumare guardandolo correre sugli scivoli e le altalene con i bambini del luogo e dei villeggianti, mentre intorno la folla ondeggia lentamente da un capo all'altro della fiera. E lo vedi far comunella con un bambino napoletano, e chiacchierare, e bisbigliare con aria complice e sorniona e poi mettersi a correre per tutto il parco, allegri, ma senza la minima intenzione di tornare quando lo chiamavo. Così, dopo aver fatto un poco finta di niente, aver provato a chiamarlo per vedersi ridere in faccia e fuggir via, cominci a sentirti nervoso, e poi anche preso in giro e ti alzi e inizi ad andargli dietro per riprenderlo. Ma no, che subito fuggono via, svicolando tra i meandri del parco. E inizi a correre, vergognandoti come una bestia degli sguardi della gente, sentendo addosso il peso del ridicolo e della sua disubbidienza. E poi sparisce. E inizi a non vederlo più, lì, in quel parco improvvisamente troppo grande, troppo affollato. E scende la sera, e la notte la segue e tutto diventa così buio, tra le mille luci dei lampioni e degli stand. Troppo buio in tutta quella luce. E la senti, prima leggera, poi sempre più forte, la mano ghiacciata della paura che ti accarezza la nuca. E corri qua, e poi là, e da uno stand all'altro, con mille occhi per cercarlo e non trovarlo. Poi d'un tratto eccone la sagoma furtiva che corre lontano, e via, appresso, chiamandolo e loro scappano di nuovo. E non sai cosa fare, se allertare la polizia, se rivolgerti a qualcuno ma non c'è nessuno, mille persone ma nessuno che possa aiutarti, e ti ricordi il mestiere che fai e le cose che senti e che vedi tutti i giorni e che non sa lui. Lui che sta correndo chissà dove. Passa un ora, ne passano tre, la gente va via, e tu a correre vicino alle uscite per trovarlo prima che.. già, prima che. Prima che quello che non vuoi pensare, succeda. Prima che sparisca davvero. Alla fine è là, sono là, nascosti dietro un albero e inizi a urlare, a girargli intorno come un pazzo per prenderlo e te lo ritrovi piangente, terrorizzato persino, tra le braccia. Ma terrorizzato, scopri, da te perché l'altro bambino gli aveva detto che lo avrei picchiato e lui aveva paura. Di me. Di suo padre. Così lo prendi per mano, senza rivolgere la parola all'altro bambino i cui genitori neanche per un attimo si son curati di cercare, e lo trascini fuori verso l'albergo, e lo senti implorare di non picchiarlo. E fatichi a rispondere che no, non avrei voluto picchiarlo, volevo solo ritrovarlo, e te lo metti seduto sulle spalle, per sentirlo finalmente preso. Tenuto. Tuo. Tornati in camera alla fine si acquieta e si addormenta su di me, al mio calore che lo tranquillizza. E mentre le ore si susseguono guardi il soffitto in preda ad una furia cieca, pensando che se fossi stato armato qualcuno sarebbe morto. Pensando che se fosse sparito sarei morto io. Così, ringrazi Iddio che te lo ha ridato e, col vuoto dentro, aspetti il sorgere del sole e sai di dover essere grato alla vita per averti insegnato qualcosa di nuovo, come fa sempre quando non gli viene richiesto: il vero, reale significato del terrore.



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