lunedì 20 ottobre 2025

ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO : 8

 (11.10.2008)

Mentre gli anno 60 davano i loro primi vagiti, noi iniziavamo la nostra nuova vita a Roma, pieni di speranze per il futuro e nei fine settimana facevamo viaggi più o meno lunghi, sempre proiettati in quell'ansia di non stare fermi che con gli anni ci avrebbe condotti in giro per tutta l'Europa, come degli hippies ante litteram. D'inverno andavamo a Marsia, a Campo Staffi, al Terminillo, ovunque ci fosse la neve, con la Dauphine blu carica di vestiti, pacchi, gli sci pesanti sul portabagagli, termos e tutto quel che ci passava per la testa. Avevo anche uno stupendo slittino in legno, certo non si chiamava Rosebud ma era bello lo stesso, o così pensavo fino al giorno che scivolando non ci restai con la mano sotto la lama e i pianti si sprecarono...Mio padre chino a montare le catene approfittava della sosta per invitarci a riempirci i polmoni con quell'aria gelida e sopraffina che ci faceva diventare rossi e lacrimosi. Ci si divertiva a fare nuvole con l'alito e ad infagottarci di maglioni, ne avevo uno bianco nero grigio disegnato a stelle che portai fino al liceo, costringendo mia madre di anno in anno a cucirgli altri pezzi per allungarlo. Chissà mai dove è finito. Ci illudevamo di essere degli sciatori divagandoci sulle collinette basse e prendendo ogni tanto la funivia, godendoci le vertigini. Quando si faceva ora di pranzo ci radunavamo sotto un albero e mia madre preparava il tavolo pieghevole, distribuendo piatti di cappelletti al sugo dal thermos e mio padre si scaldava col vino rosso delle nostre vigne.  Dormivamo a turno, sazi della giornata, del calore che ci scaldava i cuori, baloccandoci a dare briciole di pane a certi minuscoli topolini arboricoli che ci venivano sfacciati tra i piedi. Le montagne sembravano immense, il solo nominarle ci sembrava qualcosa di fantastico, le tre cime di Lavaredo, il passo del Pordoi...Quel colore del cielo mi avvolge ancora nella sua immensità, non esistevano confini a quel che avremmo potuto vedere, ai luoghi dove avremmo viaggiato...Mai mio padre ci fece mancare qualcosa, nel suo piccolo, e quel piccolo per noi era moltissimo. Un panetto di sciolina sembrava un tesoro da conservare e i cappelleti con la carne e il grana, mangiati lì, in quei momenti magici, non li avrebbe battuti neanche il più grande degli chef. Alberi della mia infanzia, che piovevate cristalli di neve sul mio cappellino austriaco, crescete ancora lassù? Regalate la vostra ombra alla memoria di mio padre.



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