lunedì 3 novembre 2025

ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO : 38

 (24.04.2009)

In fondo, fu solo la paura per il lavoro che non c'era, i soldi che non sarebbero bastati, a legarmi le mani per così tanto tempo. Ero realista, o forse, soltanto terrorizzato all'idea di non poterti dare tutto quel che mio padre aveva dato a me. Alla fine, più per salvare un matrimonio che per vera convinzione mi decisi e mi ritrovai così ad aspettarti. I giorni si accavallarono frenetici tra una visita medica e un giro per comprare corredi e varie cose, tutto quel necessario imposto dalle idee comuni che colora piacevolmente il tempo dell'attesa non dando più spazio ai pensieri ed ai ripensamenti. Te ne stavi lassù, tra le nuvole, aspettando il tuo momento di venire tra noi, beato, nella minuscola incoscienza che accomuna tutte le creature di Dio che ancora non sanno come il mondo vada. E alla fine anche tu ti sedesti nel trenino volante dei bambini, con la tua valigetta piena di desideri e di speranze e ti affacciasti alla luce. Restai vicino a lei fino al momento del parto poi mi ritirai in buon ordine come tutte le persone dovrebbero fare, tranne i malati di protagonismo modaiolo che usano star tra i piedi anche alle levatrici, rispettando l'aura misterica insita in quel momento così naturale. E dopo un po' l'infermiera ti sollevò da dietro i vetri a mostrarmi tutte quelle piccole dita, come se mai me ne fosse importato qualcosa se per caso ne avessi avuta qualcuna in meno. Eri un cosino minimo e nessuno sconvolgimento, pure atteso, mi attraversò il cervello perché se ti avevamo chiamato era ovvio tu fossi lì. Un padre: in quel momento realmente capii che sarei morto. L'idea balzana e giovanile di una presunta immortalità svanì come spire di fumo e mi ritrovai a contare i granelli di sabbia della mia vita che iniziavano il conto alla rovescia. Iniziavi tu e cominciavo a finire io. Furono tempi curiosi nell'inventarsi un ruolo che nessuno ti insegna, a vederti piccolissima cosa bisognosa di pappe e bagnetti man mano diventare quel bricconcello che già eri e il tuo primo pianto mi fece sprofondare in un abisso di vergogna e inutilità, di dolore persino, incapace com'ero di rendere la tua vita solo un sogno. E passo a passo, giorno dopo giorno crescevi e a te mi rapportavo parlando e parlando di tutte le mille cose che nella mente mi han sempre frullato, crescendoti fin troppo e troppo presto, tentando - è vero - di equilibrare questo mio peccato con le tante favole che sempre ti inventai lì, sul momento, da quel vecchio cantastorie che sono, regalandoti i sogni più bizzarri. I primi anni per me furono un distillato d'inquietudine a causa del lavoro vago, fittizio nel quale mi barcamenavo poi trovai quella stabilità inattesa che tante cose ci ha permesso di realizzare ed iniziai a vivere la notte, per poterti essere sempre vicino nell'andare e venire dalla scuola, presente ad ogni tuo bisogno quando altri orari lavorativi non avrebbero permesso a tua madre d'esserlo. Che questo mi stia consumando non importa, quel che conta è che quando ti servo ci sono, quasi sempre è vero, ché i tuoi pianti notturni non sono io ad asciugarli, e me ne dolgo anche perché spesso son pianti dovuti alla mia lontananza. Ma stai crescendo e vedo la tua innocente fanciullezza ogni giorno limarsi e modellare in te il ragazzo che sarai, sempre col tuo sorriso e la tua scapigliata voglia di far birbonate. Ne provo gioia e dolore assieme, perché non so più essere un bambino e ti lascio giocare da solo quando invece compagno dovrei esserti, ora, adesso, fin che ancora mi vuoi. Ma resto a scaldarmi vicino al camino, con una sigaretta in bocca, a volte persino infastidito del fracasso che fai, mentre sul tappeto ruzzoli con tutte le tue piccole cose che in quantità ti compro, dimentico delle mie scarpe bucate o dei pantaloni lisi. Che tu sia felice, non io, io la mia parte l'ho fatta e Dio ne benedica mio padre, ora tocca a te avere quel che desideri. Presto verranno i giorni in cui sarò solo il genitore, se non addirittura un portafoglio, o un intralcio e avremo perso lo splendore della tua infanzia, le meraviglie della tua fanciullezza, le tue bambinerie. Bevo di te ogni attimo, figlio mio, e ne faccio tesoro di ricordi dorati, per farmene scudo ai momenti brutti che inevitabilmente verranno e provo orgoglio d'averti, un devastante amore che ogni briciola di me penetra e pervade rendendoti l'unica cosa che mi fa vivere. Ricordalo questo, ricorda tutti i momenti vissuti assieme, che ti siano compagni per sempre. Un giorno forse leggerai questo mio lascito e tante altre cose di me, che ti aiuteranno a conoscermi, ma un unica cosa dovrai rammentare: tuo padre ti amava.



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