(12.01.2009) Vi capita, lo so, anche a voi, una di quelle giornate che ti senti più solo di un sasso in un deserto, più secco di un cactus a mezzogiorno.. una di quelle giornate nelle quale vorresti tirare le somme di una vita e non hai nemmeno la forza di farlo perché in fondo, a che serve? A ricordare con rabbia? A sognare senza speranze? A dirti, guarda cosa sto facendo, gliene importa qualcosa a qualcuno? No. Ed è questa la risposta che fa pensare, che fa più male; perché ti rendi conto di stare accumulando giorni passati nel salvadanaio della tua esistenza, ore che scorrono, giorni sempre uguali, conditi dalle piccole spezie di vaghi momenti di gioia passati con tuo figlio - e basta. Giornate, e notti, scandite da una routine talmente calcolata al millimetro che se non ci fosse il minuscolo spiraglio del web e della chat in cui incunearsi di tanto in tanto, a diventare pazzi ci si metterebbe un nanosecondo: e la stanchezza profonda, che avanza raggiungendo in certi momenti soglie simili ad una droga, perché ti accorgi che veramente vuoi arrivare al punto di guidare con gli occhi che si chiudono, con la mente frullata in una nuvola di ovatta. Senti la fatica di articolare pensieri, di muovere la lingua anche solo per dire non ne posso più.. E vai avanti in un dedalo di cose da fare, sempre le stesse, sempre uguali. Con quell'unico giorno di libertà atteso per riprenderti la vita e atteso da chi ti sta intorno per rovinartelo, sfruttando al massimo le poche energie rimaste per portarti al crollo. Provando una sottile e malcelata invidia per i colleghi che se ne stanno in giro a tutte le ore rimorchiando qua e là donne disponibili e prive di pensieri capaci di dartela nello sgabuzzino delle scope di una stazione di metropolitana e ti chiedi : ma dove stanno? ma davvero? e avresti voglia di pensare che son tutte balle e invece no. Perché là fuori, nel mondo, c'è chi se la gode, anche adesso, in questo momento. Felici, spensierati, e poi ti rifugi nel web e rientri nell'esercito dei disperati, dei separati, dei divorziati, degli angosciati - da una parte - e dei giovani innamorati indaffarati a costruirsi futuri immaginari, rosei, pieni di tenerezze, dall'altra. Allora giù, a scambiare chiacchiere e battute, per sentirsi vivi, per credere di avere qualche amico da qualche parte nel mondo, qualcuno che non sai chi è, cosa è, ma che per un qualche motivo ha in quel momento voglia di parlare con te e questo fa bene, lenisce i tremori dell'anima, perché siamo così fragili nelle nostre corazze, siamo sempre con un piede sul baratro, vedi che anche dall'altra parte del monitor i tuoi problemi si riflettono, ci rifrangiamo come le onde che quiete si allargano e moltiplicano in uno stagno e fa così male vedere qualcuno che hai imparato a conoscere chiudere e sparire nel buio elettrico di un chip, chissà perché. Ti sembra che un frammento di te se ne sia andato. Allora torni alla vita reale, che bella, con le sue liti, con le incomprensioni, con chi ti sta accanto che ti nega un contatto qualsiasi adducendo motivi che avrebbero fatto sghignazzare Freud..E vivi così, solo, in mezzo a milioni, aspettando forse quei pochi minuti di vita familiare che sfumeranno i loro contorni man mano che il piccolo crescerà e tutti i bei ricordi saranno diventati cenere nel vento. Un altro giorno che passa, un altra ruga addosso, un piccolo passo verso la tomba.

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