(11.02.2009)
Anni Ottanta, il "Plein Air" impazzava e la moda del campeggio spopolava grazie anche alla possibilità di fare grandi viaggi contenendo le spese. Ci armavamo di tutto il ben di Dio possibile e stipavamo il pulmino Volkswagen verde militare, col tetto alzabile e le bizzarre tendine a fiorellini in ogni angolo consentito poi si partiva, carichi sopra tutto di allegria e aspettative. Il pulmino macinava tranquillo lunghi chilometri d'asfalto, ci si divertiva a riconoscere il passaggio da una regione all'altra d'Italia dalla conformazione dei monti e delle campagne. Quando attraversavamo la Toscana era sempre una gioia, quelle immense colline con quei colori inconfondibili, i verdi digradanti nell'azzurro, i gialli senape delle messi, il celebre Terra di Siena bruciato che indicava le coltivazioni messe a maggese. E quegli sparuti grappoli di alberi immersi solitari in cima a favolose colline, come eterne sentinelle delle greggi, dormienti nella calura d'agosto. Si tagliava l'Umbria con i suoi panorami schivi e irti di fabbriche, gironzolavamo nell'Emilia Romagna così piatta e verde alla ricerca delle nostre radici ataviche, in quei paesini raccolti attorno alla piazza ed al suo portico, con quei fiumiciattoli dove le rane si stipavano gracidanti. E si andava su, sempre più su, sino ai confini verso uno dei nostri campeggi favoriti, meta già da anni delle nostre vacanze e spesso ultima tappa in patria prima di immergerci nell'Europa sconosciuta, forti del cambio favorevole e della mia conoscenza delle lingue. Ci fermavamo per più giorni nel campeggio di Campodolcino, vicino Chiavenna ed al favoleggiato porto franco di Livigno, meta preferita dai vacanzieri perché la benzina costava due lire e si compravano stecche di sigarette, liquori e quanto altro a pochissimo. Si giungeva al campeggio dopo la lunga strada montuosa che sfociava in una vallata circolare coronata dai monti, le palazzine della reception, della mensa e dei bagni ancora in costruzione; una vista meravigliosa, file e file di roulotte e di tende ad attenderci. La gente sempre quella che incontravamo da anni e con i quali avevamo stretto un certo qual rapporto di amicizia annuale, il Panzieri - una sorta di rustico montanaro - col Panzierino, un pupattolo che teneva in braccio sempre ridente e rosso per la malaugurata abitudine dei suoi di fargli assaggiare il grappino mattutino, la piccola Paola che ogni anno cresceva un po' di più e con la quale ogni anno mi spingevo un po' più in là con reciproco spasso...e tutti gli altri con i quali la notte ci si stringeva intorno al falò per preparare un potente e untuoso vin brulè con dentro pepe e chiodi di garofano. Una manna viste le temperature polari che stecchivano le tele delle tende e chi le occupava, passato di bocca in bocca nelle grolle, sotto costellazioni mai viste dalla capitale. E gli enormi pentoloni dove quotidianamente sobbolliva la polenta taragna per ore, e l'attesa spasmodica che suonasse il campanaccio a mezzogiorno per avvertire che nella mensa erano pronti i pinzoccheri. Si badi bene, mica gli astrusi pinzoccheri nelle buste precotte oggi in voga nei discount, no, questi erano una sorta di gnocchi di patate miste a vari tipi di formaggi locali che salivano e scendevano nei calderoni fumiganti per poi essere versati nei piatti con l'intingolo bianco e filante dei formaggi fusi, coprendo il tutto di parmigiano grattato. Un profumo che si spargeva per tutta la valle costringendoci a interrompere le partite a bocce e gli altri giochi - a carte, più che altro - per correre ai tavoli. La piccola canadese ci liberava dal dover dormire con i miei nel pur caldo pulmino, offrendoci la possibilità di svicolare la notte in cerca delle altre compiacenti campeggiatrici con le quali quasi sempre si rimediava un calore di tutt'altro genere. I monti che chiudevano in solido abbraccio la valle offrivano escursioni leggendarie, in cerca di funghi e a volte di gnomi: una volta mi inerpicai per un sentiero senza rendermi conto che era un semplice camminatoio di capre e finii appeso ad un albero sul burrone senza poter tornare indietro finché riuscirono a ritrovarmi e a trascinarmi sano e salvo al campeggio, dove fu salvifico il rito del grappino per farmi tornare il colore in faccia. Poi tutto finì, come spesso succede in questa nostra Italia, nella maniera più gretta...la Lega Nord emetteva i suoi vagiti e le popolazioni risposero all'appello senza bisogno di chiederglielo così un giorno, al nostro arrivo, quello che sentimmo intorno a noi non fu: Come state? Quanto tempo! ma il ben peggiore: Sono arrivati i Terroni. Insalutati ospiti, a sera smontammo tutto e ce ne andammo in Germania per non tornare mai più in quel campeggio.




















