venerdì 5 dicembre 2025

MEZZANOTTE E QUARANTASEI

 (Prima pubblicazione 31.05.2009)


"Non dovevamo farli entrare..", fu l'ultimo sussurro di Don Alvaro, poi un gorgoglio di sangue chiuse la sua esistenza. Morì così, tra le mie braccia. Era stata una lunga giornata, troppe cose avevo visto percorrendo le strade di quella sporca città, sempre alla caccia di delinquenti, sempre con i nervi tesi, la macchina piena del fumo delle sigarette, la radio sempre sintonizzata sul canale della polizia che non smetteva mai di mandarci da un capo all'altro. In quella infinita ricerca. Ero stanco e faticavo a reggermi in piedi; per questo avevo deciso, molto dopo che il mio turno era finito, di fermarmi in chiesa per parlare col mio padre spirituale e liberarmi da tutto quell'orrendo groviglio che mi impediva da giorni persino di chiudere occhio. La porta era socchiusa e non sembrava ci fosse nessuno alla tenue luce delle candele dell'altare, mi ero diretto verso il confessionale la cui piccola luce rossa splendeva nella mezza luce ma mi ero subito reso conto che qualcosa non quadrava. Le panche erano spostate in modo disordinato e un candelabro giaceva in terra. Camminando rasente al muro, la Walther .40 stretta nel pugno, avevo raggiunto il confessionale e là, riverso in terra, Don Alvaro stava per incontrare il suo Creatore, in un lago di sangue. A stento era riuscito a sussurrare quelle ultime parole, dandomi un brivido gelido per la schiena. Non ne capii il senso, pensavo si riferisse a qualcuno dei diseredati della società che accudiva con le sue opere di carità, magari avevano provato a rapinarlo, ringraziando a modo loro la società globalizzata e multietnica sempre pronta a mostrare la sua faccia politicamente corretta, salvo gridare aiuto al telefono quando ci chiamavano per essere salvati da quelli che avevano voluto salvare. Mi girai con attenzione tutt'intorno, troppe ombre nelle nicchie potevano nascondere qualsiasi cosa quando giunse, troppo rapido anche per me, l'assalto. Venni scaraventato a terra e urtai violentemente la testa contro i gradini di marmo dell'altare, alzai la pistola e feci fuoco verso l'ombra che ancora mi veniva addosso. Quattro, cinque colpi in rapida successione, la .40 avrebbe sfondato un muro ma niente sembrò fermarlo. Pensavo a un tossico strafatto di crack quando lo sentii ridere e la sua risata mi agghiacciò le vene. "Non è così che mi ucciderai", sibilò e le candele ai piedi della statua della Madonna rivelarono un volto bianco come la morte che intendeva donarmi. Ghignava e i suoi denti aguzzi lanciarono riflessi. Raggiunsi il crocefisso sull'altare e lo alzai verso di lui, raccomandandomi l'anima a Dio e iniziai a recitare il Pater Noster: si fermò a pochi metri da me, lentamente estrasse da una tasca il documento di accoglienza per i rifugiati politici e sghignazzando disse: "Inutile. Sono musulmano.." Fu l'ultima cosa che sentii.

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