(Prima pubblicazione 25.10.2009)
E' forse appropriato, in una fredda notte come questa, lasciare che i ricordi tornino a rincorrersi, ricordi gioiosi di tanti anni fa. Quando ancora usavamo partircene tutti insieme in famiglia in viaggi europei, a bordo del caravan con la famiglia intera o dopo sposato, con il caro Maggiolino raggiungevo insieme alla consorte mio padre e mia madre che ci precedevano da qualche parte a farsi le vacanze per loro conto. Una delle mete che tanto ci attrassero, stupendamente locata in quell'Austria Felix che sempre ci ammaliò, era la minuscola cittadina di Hopfgarten, là nel Tirolo. Sita in un amena vallata, tra campi sempreverdi e alti monti a circondarla, con i locali caratteristici della zona aperti dal mattino al tardo pomeriggio, ché i buoni austriaci usavano cenare presto e subito chiudere per andare a dormire, ospitava un grazioso campeggio ed un grande albergo dove ci aquartieravamo, pronti a raggiarci intorno per valli e città. Il sindaco aveva la curiosa abitudine, a chi fosse stato ospite per almeno tre anni di seguito, di nominarlo cittadino onorario, piacere che toccò a mio padre, il quale un giorno ricevette appunto una lunga lettera in austriaco e trasecolò dopo essersela fatta tradurre. La mattina al cantar del gallo si correva subito giù nella hall dove ci propinavano inaudite e sontuose colazioni, pari a pranzi sibaritici, zuppe, insaccati, formaggi a iosa, cereali, frutta, dolci a perdercisi, soprattutto dei curiosi e gargantuelici piattoni di creme con sopra decori disegnati con sciroppi multicolori. Preparavamo panini d'ogni genere e poi scarpinavamo sino all'ovovia, lanciandoci su per le vette. Raggiunti i termini dell'ovovia scendevamo per battere sentieri scoscesi e dirupati, godendo di spettacolari panorami, col cervello inebriato dall'altitudine si raggiungeva una certa qual baita minuscola e ruspante, nella quale una ghiotta servotta a piedi nudi (con quel freddo!) rasserenava i nostri spiriti con balde ciotole brodose e dense nelle quali galleggiavano grandi e untuosi knodel di fegato macinato misti ad erbe a noi sconosciute. Quei sapori intensi rimpallavano tra lingua e palato, confortando stomaco e cuore. Scendevamo infine, aggrappati ai nostri alpenstock sui quali orgogliosamente mostravamo costellazioni di stemmi in peltro d'ogni (così tante!) vetta e città visitata, fermandoci a far foto a gruppi di mucche incuranti, perse nei loro gastrici ragionamenti. E la sera, seduti sul balcone di legno traforato dell'albergo, discettavamo dei luoghi ancora da vedere davanti a grandi bottiglie di Marillerschnaps o di KaiserWilhelmschnaps, inframezzando il tutto con le mie lunghe tirate di pipa... Grandi momenti, perduti nel tempo insieme agli alpenstock ed a mio padre, e mentre sfumano riguardo la mia giacca di tweed, rozza, marrone, dalle toppe in pelle e i favolosi bottoni in corno di cervo che papà trovò ad Innsbruck, ma sì, la giacca che ogni tanto citavo nelle favole di re Brian Borough, sempre quella, che ancora porta in sé il canto dello jodel e quei profumi fantastici.
Commenti dei lettori dell'epoca:
follettoarrabbiato : Fantastico trovo il modo in cui descrivi alcuni scenari, sembra di caderci dentro...e sembra anche di sentire i sapori che descrivi....e' fantastico il tuo mondo e tu....Folletto
roberto.1969 : stupendi ed emozionanti momenti di vita
i bei ricordi un energia infinita dalla quale tutti noi dobbiamo attingere la forza per andare avanti
tieni duro amico mio credici e questi torneranno
un abbraccio
roberto

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